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The light we carry - Michelle Obama

È un libro che si legge su due livelli, uno un po’ più superficiale, l’altro più aderente a quelle che sembrano essere non tanto le intenzioni dell’autrice quanto piuttosto i suoi sforzi.

Una lettura più superficiale farebbe emergere una donna forte, intenta ad elargire ai suoi lettori ottimi consigli in un coinvolgente e “perfetto” American style: come crescere due figlie, come nel frattempo diventare una First Lady con l’ansia da prestazione poco prima di un discorso poi risultato impeccabile, come ricevere a cena Bono Vox, come avere una kitchen table piena di amiche ed una casa piena di amore, di cui la gran parte ereditato dalla famiglia di origine.
Sempre quella stessa lettura superficiale, infatti, tenderebbe a far sì che l’attenzione del lettore si concentrasse esclusivamente sulle conquiste, o comunque non allo stesso modo sulle sconfitte, e questo nonostante ogni sforzo in senso contrario (almeno apparentemente) profuso dall’autrice.

Un passettino un po’ più nel profondo, invece, lascia intravedere un tentativo estenuante di quella stessa donna forte di sedare un perenne combattimento tra l’emotività a volte anche rabbiosa ed una ragionevolezza un po’ più pacata.
Ne viene fuori - a mio personalissimo avviso - il ritratto di una donna assolutamente forte, certo, e su questo non v’è alcun dubbio, ma troppo troppo cerebrale, ai limiti della sofferenza e di una fatica il cui fardello è troppo pesante - e qualche volta inutile - da portare.
Attenzione, non lo dico con spregio o anche solo esprimendo un giudizio, peraltro non richiesto. Lo dico più che altro con la consapevolezza di chi conosce l’emotività rabbiosa ed in senso esattamente speculare percepisce come estremo ogni minimo sforzo di incanalare quel fiume di emozioni in qualcosa che sia costruttivo, utile a sé stesso e non dirompente nel senso più negativo che possa essere attribuito a questo termine.

Morale della favola: se cercate un libro motivazionale, vi piacerà. Se invece la figura di Michelle Obama suscita in voi un fascino particolare, ecco che vi sorgeranno un bel po’ di dubbi. Guarderete sicuramente con un sorriso quasi sognante e romantico al suo racconto del primo viaggio con Mr Obama, fatto durante le vacanze di Natale, alle Hawaii, dalla famiglia di Barack, ma vi ritroverete con un punto interrogativo in testa nel percepire ogni singolo sforzo profuso nel tentativo di Michelle di decodificare qualunque cosa, cercando, alla fine, di convincere per prima sé stessa di aver fatto del suo meglio, di legittimare tutto quell’essere cerebrale alla luce di una sorta di “senno di poi”.

Lo consiglio, ma più che altro perchè sono molto curiosa di avere un confronto su una serie di punti.

La luce che è in noi✨

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