Kobe - una storia italiana
Seguivo Kobe Bryant sui social per un motivo che non aveva niente a che vedere col basket-ball e con l'NBA: mi ricordava tantissimo, fisicamente, una persona a cui volevo molto bene. Il suo era uno di quei profili che ti tenevano incollato per le stesse inspiegabili ragioni per cui si seguono i reality: lui bello come il sole, sua moglie, Vanessa (o solo V, come la chiamava lui), bella pure lei, come le figlie, con i visi dolci e con gli occhi sorridenti, famiglia molto molto benestante, lui con un passato in Italia ma dopo a LA, la seconda figlia, Gianna, rigorosamente nome italiano come altre tre, appassionata di basket come il papà.
Quando il 26 gennaio 2020 è morto, proprio insieme a Gianna, mentre erano in elicottero, sono rimasta sconvolta come del resto tutto il mondo.
Tutto il mondo lo conosceva, ma non per gli stessi motivi che avevano attratto me fino ad allora.
Lui era il Black Mamba, con una tenacia e una determinazione senza pari, che in campo era cattivo e spietato, appunto come il black mamba, quello vero, un serpente pericolosissimo proprio per la repentinità del suo attacco. Ha vissuto per 40 anni, partorendo la Mamba mentality, una vera e propria filosofia di vita che lui per primo metteva in atto, ogni giorno. Un esempio tra tanti: iniziava ad allenarsi alle quattro di mattina, fino alle sei, quando tornava a casa in tempo per fare colazione con le sue figlie prima che andassero a scuola, dopo tornava in palestra e ci restava per altre sei ore.
Una parte dei suoi 40 anni li ha passati in Italia, con la sua famiglia, trasferitasi nel nostro Paese quando lui era solo un bambino, perché Joe Bryant, suo padre, giocava in NBA (anche lui, sì).
In Italia è cresciuto, in Italia ha iniziato ad andare a scuola e ad imparare l’italiano (parlato perfettamente), in Italia ha giocato per le strade, ha mangiato un gelato come tutti i bambini fanno, ha palleggiato tutte le volte che ha potuto nei tragitti da casa o da scuola verso il campo da basket, ha imparato i fondamentali del suo sport, guardando suo padre ma decidendo che il basket-ball doveva essere anche suo, perché anche lui doveva arrivare in NBA. E ci è arrivato eccome…diventando il miglior giocatore di tutti i tempi insieme a Michael Jordan.
Questo documentario è dedicato proprio a questo pezzo di vita di Kobe, alla sua storia italiana, ai suoi amici d’infanzia, che ha cercato e salutato non appena ha potuto, alle persone che ha conosciuto crescendo.
È un documentario commovente, che mostra come Kobe sia stato amato nel nostro Paese e tuttora lo sia, ma che mostra anche come Kobe dal canto suo fosse orgogliosissimo del suo cuore italiano, legatissimo all’Italia, quasi geloso di quella parte fondamentale della sua vita. Che molto probabilmente avrebbe provato a rivivere in un’età diversa, se solo non se ne fosse andato così presto.
Il documentario è su Amazon Prime. Guardatelo, se potete, ne vale davvero la pena, anche se del basket-ball non ve ne frega nulla.
Buona visione!